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L’emergenza Covid-19 ha avuto un impatto enorme sul nostro sistema economico e sui rapporti commerciali nonché sui contratti che ne disciplinano l’attività, in particolare pone per imprenditori e parti negoziali il problema dell’impossibilità di adempiere le obbligazioni contrattuali assunte prima dell’emergenza sanitaria. Di seguito si analizza il fenomeno alla luce degli istituti giuridici dell’impossibilità sopravvenuta e della risoluzione del contratto per forza maggiore.
Ai sensi dell’art. 1256 c.c. l’obbligazione si estingue quando, per causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. La liberazione del debitore per sopravvenuta impossibilità della prestazione si può verificare, quindi, solo in quanto concorrano l’oggettiva impossibilità di eseguire la prestazione e l’assenza di colpa del debitore in relazione all’evento che ha reso impossibile la prestazione. La situazione impeditiva dell’adempimento deve inoltre essere non prevedibile al momento del sorgere del rapporto obbligatorio e non superabile con lo sforzo che può essere legittimamente chiesto al debitore (il tipico caso di scuola è l’esempio del cantante la cui obbligazione si estingue perché non è esigibile che lo stesso si presenti sul palcoscenico nonostante la malattia che l’ha colpito e che gli impedisce di cantare).
L’impossibilità può poi essere definitiva se l’impedimento è irreversibile e determina l’estinzione dell’obbligazione (ad esempio la morte dell’animale che dovevo consegnare), oppure temporanea se determinata da un impedimento di natura transitoria. In quest’ultimo caso l’obbligazione si estingue solo se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto il debitore non può più essere ritenuto obbligato ad eseguire la prestazione o il creditore non abbia più interesse a conseguirla, diversamente l’impossibilità temporanea semplicemente esonera il debitore dalla responsabilità per il ritardo nell’adempimento, che dovrà essere effettuato senza indugi, una volta venuta meno la causa che lo impediva. Pertanto, cessata l’impossibilità temporanea della prestazione, il debitore deve sempre adempierla indipendentemente da un suo diverso interesse economico che può, eventualmente, far valere sotto il profilo dell’eccessiva onerosità sopravvenuta.
Tra le cause invocabili ai fini della “impossibilità della prestazione” rientrano i divieti o gli ordini sopravvenuti dell’autorità amministrativa: c.d. “factum principis”, ovvero i provvedimenti legislativi o amministrativi dettati da interessi generali che rendano impossibile la prestazione indipendentemente dal comportamento dell’obbligato. A tal proposito, è bene precisare che l’impossibilità nell’adempimento contrattuale non può essere invocata qualora il factum principis sia «ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all’atto dell’assunzione dell’obbligazione» ovvero «rispetto al quale non abbia sperimentato tutte le possibilità che gli si offrivano per vincere o rimuovere la resistenza della pubblica amministrazione».
Orbene, è opinione di chi scrive che la situazione di emergenza sanitaria che si è creata e i conseguenti interventi legislativi volti a contenerla ben possano costituire una giustificazione per l’inadempimento contrattuale di prestazioni divenute definitivamente o temporaneamente impossibili, occorrerà procedere ad una valutazione caso per caso.
Forza maggiore: l’art. 1467 c.c. prevede che nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili , la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto con gli effetti stabiliti dall’art. 1458. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.
Perché si possa avere diritto alla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta è prima di tutto necessario che si tratti di contratti per i quali è previsto un intervallo di tempo tra stipulazione dell’accordo e la sua esecuzione. E’ poi necessario che si verifichi una eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione di una delle parti, ovvero un intervenuto grave squilibrio economico tra le prestazioni delle parti non previsto al momento della conclusione del contratto che sia riconducibile ad eventi straordinari ed imprevedibili che non rientrino nella normale alea contrattuale. La straordinarietà dell’evento ha natura oggettiva perché considerato tale attraverso analisi quanto meno di ordine statistico, mentre la sua prevedibilità non va valutata in astratto ma è opinione dominante in dottrina che essa debba essere valutata alla luce del giudizio che, ex ante, un uomo medio avrebbe ritenuto di formulare per cautelarsi nello stipulare il contratto.
La domanda di risoluzione di un contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione deve essere corredata dalla rigorosa prova del fatto la cui sopravvenienza abbia «determinato una sostanziale alterazione delle condizioni del negozio originariamente convenuto tra le parti e della riconducibilità di tale alterazione a circostanze assolutamente imprevedibili». La parte contro la quale è domandata la risoluzione potrà evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto fino a ricondurre il rapporto tra le prestazioni entro i limiti dell’alea normale del contratto, in tal caso si procederà alla revisione dello stesso.
Avv. Stefania F. Rispetto